IL PRETORE Chiamato alla convalida dell'arresto e alla celebrazione del processo con rito direttissimo nei confronti di Arimatea Massimo; Rilevato che l'imputato, ai sensi dell'art. 566 ottavo comma, del c.p.p., ha formulato, al termine dell'udienza di convalida e prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, richiesta di giudizio abbreviato, e il p.m. non ha prestato - immediatamente il proprio consenso; O S S E R V A Ai sensi dell'art. 452, secondo comma, del c.p.p. il dissenso - immotivato - del p.m. alla richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato costituisce ostacolo insormontabile per il giudice a procedere secondo le forme di tale rito (conformemente a quanto disposto dagli artt. 566, ottavo comma, e 438, primo comma, del c.p.p.). La legittimita' dell'insindacabilita' del dissenso vincolante del p.m. all'instaurazione del giudizio abbreviato va pur sempre misurata alla stregua delle norme costituzionali che regolano l'esercizio della giurisdizione. Non puo' ritenersi, infatti, che la insindacabilita' del dissenso del p.m. possa essere sollevata dal sospetto di incostituzionalita' per il sol fatto che essa sarebbe imprescindibile connaturata ai meccanismi del rito abbreviato: se cosi' fosse sarebbe questo rito che dovrebbe essere eliminato dall'ordinamento ove dovesse risultare imcompatibile con le norme costituzionali. La sindacabilita' del giudice sulla scelta del rito operata dal p.m. sempra essere costituzionalmente garantita (cfr. sentenze Corte costituzionale nn. 117/1968 e 40/1971) tanto piu' quando, come nel caso di specie, la scelta del p.m. arrivi a vincolare ineludibilmente il giudice non solo nel rito ma anche nella entita' della pena da irrogare, condizionando l'applicabilita' a mezzo della "diminuente" di cui all'art. 442, secondo comma, del c.p.p. Insomma: il meccanismo previsto dagli artt. 452, secondo comma, e 566, ottavo comma, del c.p.p. (e dall'art. 438, primo comma, del c.p.p. che nel presente giudizio non trova pero' diretta applicazione) va a conferire al p.m. un potere decisorio, giurisdizionale insindacabile, in ordine alla misura della pena, potere sia pure mediato da quello sulla scelta del rito. Tale sistema sembra porsi in contrasto (tenuto anche conto della sentenza n. 120/1984 della Corte costituzionale) con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto il giudice viene ad essere inesorabilmente condizionato, nella commisurazione della pena, dallo esercizio da parte del p.m. di un potere discrezionale ed insindacabile: in tal modo si limita il potere del giudice di determinare la pena secondo i parametri di cui all'art. 133 del c.p., non in virtu' di criteri rigorosamente predeterminati, e quindi verificabili, bensi' a causa dell'attivazione di un potere attribuito al p.m. e sottratto ad ogni possibile valutazione e controllo: il giudice risulta cosi' essere non piu' soggetto soltanto alla legge. E anche il disposto di cui all'art. 102, primo comma, sembra essere violato in quanto il sistema di instaurazione del rito abbreviato pare attribuire funzioni sostanzialmente decisorie al p.m. mentre le stesse sono costituzionalmente riservate al giudice (la fondamentale distinzione tra potere d'azione e potere di decisione rileva anche dagli artt. 198 c.p.v., 112 della Costituzione oltre che dalle norme sullo ordinamento giudiziario espressamente richiamate dall'art. 102, primo comma della Costituzione; si confrontino anche le sentenze n. 148/1963, 97/1975 e 120/1984 della Corte costituzionale). Il fatto che, a seguito del dissenso immotivato e vincolante del p.m., la richiesta dell'imputato resti sottratta in modo definitivo alla valutazione del giudice, sembra inoltre elidere l'inviolabilita' del diritto di difesa art. 24, secondo comma, della Costituzione (e si confronti sul punto ancora la sentenza n. 120/1984 della Corte costituzionale). Va poi considerato che l'attribuzione al p.m. di un potere vincolante in ordine alla commisurazione della pena (442, secondo comma del c.p.p.(conseguente alla scelta del rito-potere attuato al di fuori di ogni possibile controllo giurisdizionale e privo di qualsiasi parametro che regoli il suo esercizio, pare violare il disposto di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione: la riserva di legge sancita dalla citata norma costituzionale, che riguarda non solo il precetto ma anche la sanzione, richiede che la sanzione stessa sia ancorata ad un "fatto", cioe' ad una condotta naturale ascrivibile all'imputato. Tale condotta non puo', evidentemente, individuarsi nel tipo di processo con cui viene accertata, tanto piu' quando l'instaurazione del rito e' rimessa all'insindacabile parere del p.m. E non puo' sottacersi la concreta possibilita' di un trattamento gravemente discriminatorio insita nella aleatorieta' e indeterminatezza del criterio che consente il ricorso al giudizio abbreviato: l'art. 442, secondo comma, prevede infatti che l'imputato possa ottenere una consistente riduzione della pena per cause non dipendenti dalla gravita' del reato, dalla personalita' o dal comportamento del soggetto, ma esterne ed indipendenti da queste e collegate esclusivamente all'apprezzamento discrezionale del p.m. (l'entita' della pena in concreto irrogata a piu' imputati verra' insomma a dipendere dalla maggiore o minore completezza delle indagini svolte dalla p.g. o da quant'altro riterra' rilevante il p.m. nell'esprimere il suo consenso o dissenso alla richiesta di giudizio abbreviato): tutto cio' sembra concretare una irragionevole divergenza di trattamento normativo e quindi una violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione. La rilervanza delle questioni prospettate nel presente giudizio e' evidente in quanto proprio in applicazione degli artt. 566, ottavo comma, e 452, secondo comma, del c.p.p., stante il dissenso espresso dal p.m., questo Pretore viene ad essere vincolato nella scelta del rito e nella commisurazione della sanzione, senza poter effettuare alcuna valutazione sulla richiesta di giudizio avbbreviato formulata dall'imputato.